Un monitor cardiaco segna una linea piatta ed emette un suono costante. Un puntino verde in un radar improvvisamente scompare. Un urlo viene lanciato nel vuoto. Un’app non riesce più a localizzare un telefono o un GPS. Un treno scompare dal cartellone degli arrivi. Un padre chiede ripetutamente alla figlia chi sia. Un articolo riporta il numero dei dispersi dopo un naufragio. Una foto mostra un teatro che non esiste più, distrutto dai bombardamenti. Uno scavo riporta alla luce la testa di una statua. Un senzatetto mostra un cartello su cui si chiede aiuto perché ha perso il lavoro. Questi sono segnali e narrazioni di altrettante perdite che scatenano emozioni.
Ogni società conosce l’esperienza della perdita e cerca strumenti per elaborare il conseguente senso di assenza e di mancanza. Come si può accettare che qualcuno non ci sia più, che le cose siano andate distrutte, che una crisi abbia eroso il nostro benessere, che si sia persa la patria, la casa, il patrimonio? Come si fa a non perdere, insieme a ciò che crediamo di valore, anche la speranza e il senso del futuro?
La perdita è un evento sia collettivo che individuale, con cui ogni epoca e contesto ha dovuto fare i conti, ma forse la difficoltà di rapportarsi alla perdita si è acuita nella società moderna. Un mondo e una cultura che si pone come obiettivo fare sempre meglio e progredire, che dunque rispetto al passato vuole dimostrare di aver guadagnato in benessere e libertà, non riesce ad ammettere di aver perso qualcosa, perché significherebbe ammettere che il presente rappresenta un peggioramento rispetto a quel che c’era prima. Eppure quella stessa società, pur mettendo al bando la nostalgia, favorisce e intensifica ogni tipo di perdita, ambientale, culturale, sociale. Il pianeta terra perde abitabilità per le crisi climatiche, ad esempio, la cultura perde costantemente memoria storica, anche insieme al degrado del proprio patrimonio artistico e monumentale o alla sua consapevole distruzione, la società perde le proprie consapevolezze ideologiche e dei valori identitari, il post-umano significa sempre più spesso la perdita dell’umano. Accanto al senso di perdita dei grandi fenomeni storici e sociali, c’è poi la perdita come esperienza intima e privata, in una società che invecchia sempre più, in cui perciò la perdita di memoria diviene, a livello individuale, un’esperienza sempre più frequente.
Ci chiediamo: come si rapporta l’arte, la letteratura, il cinema, la filosofia con l’esperienza emotiva della perdita? Come la rappresenta? Quali emozioni attribuisce all’esperienza della perdita e del perdersi? Quale è il rapporto tra perdita e lutto? Quale il rapporto tra perdersi e il tempo? Come si sopravvive a ciò che si è perduto? Queste e altre domande sono state poste da sempre nella letteratura, nel teatro, nella musica, nell’arte, e vanno di pari passo con la questione: come si può rappresentare ciò che non c’è più, ma resta nel ricordo? Come si può evocare ciò che è scomparso o si è perso?
Il prossimo fascicolo di ‘AdE’ pone al centro dell’analisi la perdita e la scomparsa al centro di contributi che si focalizzino sulle emozioni correlate alla perdita e alla scomparsa, dalla letteratura al teatro, dal cinema alla musica, dall’archeologia alla storia dell’arte, dalla riflessione filosofica alla storia della conoscenza umana.
Si prega di inviare il tema della proposta con un titolo provvisorio e un abstract di max 500 parole entro il 30 settembre 2022 a soterafornaro@gmail.com. I saggi accettati per la pubblicazione devono essere pronti entro il 30 novembre 2022. La pubblicazione del fascicolo è prevista per gennaio 2023.